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Rose+Croix

Rose+Croix. Ermetismo pittorico a servizio dell'Idea eterna. Articolo del critico d'arte Dott. Sergio Pesce








Edipo e la Sfinge - Fernand Khnopff

Rose+Croix.
Ermetismo pittorico a servizio dell'Idea eterna
Articolo del critico d'arte Sergio Pesce Il critico d'arte Dott. Sergio Pesce

Un capitolo del simbolismo ancor oggi poco trattato è senza dubbio quello legato ai sei Salon Rose+Croix che furono allestiti a Parigi nella parentesi Salon della Rose+Croixtemporale ove trovò, tra il 1892 e il 1897, il suo periodo di maggior fortuna critica. Il motivo di tale isolamento lo si deve molto probabilmente alle forme intenzionali, volutamente ermetiche e al tempo stesso esoteriche, del suo promotore Joséphin Péladan. La sua personalità fu seriamente influenzata dalla figura del padre, adepto di una organizzazione neocavalleresca ispirata all'ordine di Malta e dal fratello maggiore, affiliato al gruppo della Rose+Croix di Tolosa, dal quale molto probabilmente acquisì la sensibilità circa la tradizione esoterica. Possiamo quindi concordare dicendo che al di là dello stretto legame con la franco-massoneria francese e delle presunte origini seicentesche, la rinata confraternita fu essenzialmente legata (in maniera indissolubile) alla figura di Péladan che come abbia detto ebbe modo di nutrirsi di concetti e comportamenti consoni al suo ruolo direttamente in famiglia. Nel 1889, alla morte della seconda personalità di spicco all'interno del gruppo, ossia quella dello scrittore simbolista Barbey d'Aurevilly, Joséphin si sentì autorizzato a ritenersi l'ultimo erede di una tradizione esoterica cattolica fedele alla Chiesa, ripercorrendo gli stessi intenti dell'Affiliation Catholique, della quale il padre, come abbian detto, fu un accolito. Ritratto del gran maestro  della Rose Croix - Jean Delville Péladan presentò questa associazione il 2 settembre del 1891 con un suo articolo su Le Figaro, ove l'importanza dell'arte venne ampiamente celebrata. Essa trae la sua espressività come frutto del dispiegamento di forze comuni atte a realizzare un tempio di ingegnosità che potesse rispondere alla funzione didattica, forte della sua natura, saldamente ancorata nella tradizione. Con la pubblicazione delle Constitutions (J. Péladan, Costitutions de la Rose+Croix, Paris, Secretariat, 2, rue de Commaille, 1893) si decide di indirizzare questa forza generatrice in progetti ben definiti, a loro volta gestiti da tre gruppi ben distinti; quello degli artisti (Rose+Croix), quello dei volontari (Le Graal) ed infine quello dei credenti che nell'arte trovavano le risposte al loro cattolicesimo (il Collegio). L'anno successivo Péladan, che nel frattempo volle farsi chiamare maestro,(attirandosi per questo motivo molte critiche), stabilì il concetto di Ideale,  spiegando gli attributi che lo compongono in una visione strettamente unita con la figura di Dio, nella sua condizione trinitaria di Bellezza, Realtà e Verità. L'arte quindi viene assunta quale forma elegante e nobile, insita nell'uomo, che la deve esprimere dando sfogo al suo naturale istinto teso ad estetizzare le cose. Alla base dell'intenzione ci dovrà sempre essere l'idea che nella tela sarà Ritratto di Madame Stuart Merril - JeanDelvilledogmaticamente espressa. Tale manifestazione dovrà portare l'osservatore ad una riflessione che gli apra la porta ad un al di là, confermando le radici simboliste dell'ordine. Il ruolo della forma sarà quindi funzionale all'idea ma non dovrà mai impegnare tutta la nostra attenzione. Essa è puro strumento atto a manifestare l'ideale che permetterà la genesi dell'impressione. I modelli di riferimento oltre a Leonardo e Michelangelo, saranno i Primitivi italiani, capaci di trattare con semplicità la materialità dell'opera a servizio dell'idea, datagli evidentemente dai committenti. L'estetica Péladaniana con continui riferimenti a tesi da tramandare trova quindi nella allegoria un mezzo perspicace per tradurre il concetto idealista, con il quale viene riconosciuto dall'intero movimento simbolista, quale sua corrente interna. Il successo critico della Rose+Croix ebbe modo di consolidarsi al primo dei sei Salon, al quale parteciparono, accolte dal profumo di incensi e dal Parsifal di Wagner circa ventiduemila persone, tra le quali presenziarono esponenti del mondo letterario come Zola e Verlaine. Tra gli oltre duecento artisti che presero parte alle sei manifestazioni spiccano senz'altro Alphonse Osbert, Alexandre Séon, Jan Toorop, Fernand Khnopff e certamente Jean Delville che venne nominato cavaliere da Péladan nel 1894, ricambiando con l'opera Ritratto del gran Maestro della Rose+Croix in veste di corista. Il bianco della veste si staglia sul fondo indefinito ove si percepisce la presenza di un manto rosso che incornicia la figura di Péladan. Il suo volto viene a trovarsi in posizione ombrata e parzialmente coperta dalla folta barba. Lo sguardo, rivolto all'esterno dell'opera richiama l'invito ad andare oltre. Il mistero della notte.jpgLa compostezza del segno in quest'opera dichiara una ponderata misticità che contrasta con quanto lo stesso Delville aveva avuto modo di dipingere due anni prima nel Salon del 1892 con il ritratto di Madame Stuart Merril, Mysteriosa. Il dipinto, acutamente separato dall'asse orizzontale pone lo spettatore dinanzi al volto della donna poggiato su un tomo, recante in copertina il triangolo, simbolo della trinità, ove si concretizza l'ideale di bellezza, realtà e verità così come voleva la teoria Péladaniana. L'astuta disposizione dei colori fanno trasparire le diagonali, le quali, tramutandosi in capelli dirigono il nostro sguardo verso il volto femminile che accogliendo la luminosità (divina) emerge per contrasto sul libro, come si fosse purificata. Gli occhi fissi in alto e l'impressione data dall'intera composizione ci permettono di intendere il progetto dell'autore, impegnato a trasformare l'opera in un mezzo di pensiero (dato dal libro recante il simbolo divino) e di estasi (dato dal volto di Madame Stuart Merril). Il mito della creazione dell'Androgino e la sua successiva divisione in essere maschile e femminile, entrambi condannati alla ricerca reciproca, convince Péladan a pensare alla sfinge quale simbolo dell'opera d'arte. In essa, stando alle tesi del fondatore, l'uomo (testa) e la donna (busto) assieme al leone (corpo) avrebbero la forza necessaria per raggiungere l'ideale perduto. Non sorprende quindi che l'antropomorfo felino sia stato ripreso svariate volte tra gli artisti del suo ordine. Tra tutti il caso più noto è quello proposto da Fernand Khnoff, in cui l'opera di Sofocle si fonde in maniera simbolica con il ciclo de La decadenza latina di Pèladan. Qui è Edipo ad essere androgino, mentre viene coccolato dalla sfinge richiamando la seduzione esplicita, quindi decontestualizzando la storia.

                                                                   Dott. Sergio Pesce