Berend Schabus
Sergio Pesce
La figura artistica di Berend Schabus ci porta a seguire quel percorso di
ricerca, riflessa in quel collegamento tra l'arte pittorica e il teatro.
Rapporto che andrebbe certamente rivitalizzato anche in fede ai precedenti
storici che non andrebbero sottovalutati. Mi riferisco in particolar modo al
celebre regista italiano Luchino Visconti che nella prima inquadratura del suo
primo film disse di essersi ispirato all'Angelo del male di Jean Renoir, secondo
figlio del celebre pittore impressionista. In compagnia di Renoir ebbe modo di
conoscere i maestri del cinema internazionale come Pudovkin e Ejzenštein. Di
quest'ultimo vorrei citare il suo libro Il montaggio, in cui appare evidente
come anche il ruolo del regista sia permeato da artisticità. Esso infatti
utilizza, nel legare la storia delle immagini del film, i suoi strumenti ossia
le forbici che divengono poetiche perché soggette all'intuizione del regista che
così facendo assolve il compito del montaggio. Ciò che compie è un'operazione di
critica (quindi di scelta) al servizio della rappresentazione da lui stesso
orchestrata. Il montaggio delle attrazioni volutamente incomplete, nascono nella
mente del regista sovietico per generare gli stimoli intellettuali dello
spettatore che non deve rimanere passivo davanti alla pellicola, ma anzi deve
poter completare le inquadrature imponendo la sua ingerenza nell'opera.
Escludendo in sostanza ogni atto passivo perché questo provoca lontananza. Nel
campo dell'arte pittorica gli “attori” di questo ragionamento non si discostano;
sopratutto se l'opera sottoposta all'indagine è “figlia” dell'intuizione
artistica di chi ha avuto una preparazione accademica ed è divenuto regista
teatrale, come Berend Schabus appunto. Basta osservare dipinti come Tango per
comprendere come la separazione e l'attenzione per la singola tela siano frutto
di esperienze cinematografiche che a loro volta trovano origini nel teatro (lo
stesso Ejzenštein iniziò la sua carriera lavorando in teatro con Vsevolod Ėmil'evič
Mejerchol'd). L'opera è qui tripartita ma viene ideata e lavorata nella sua
totalità accostando le tele bianche, precedentemente tagliate. Potremmo dire nel
linguaggio cinematografico che Schabus realizza lo spazio pittorico nel suo
insieme (scenografia) decidendo cosa ritrarre nelle singole tele (sceneggiatura)
anticipando il taglio (montaggio) che deve dare il senso di quello che stiamo
osservando.
La sua “azione” passa quindi dal generale al particolare, chiedendo
l'ingerenza dello spettatore laddove percepisca nelle inquadrature, magari
immagini indefinite che in pittura vengono associate all'astratto. In Tango
quindi si concretizza quel montaggio delle attrazioni delle quali avevo parlato
a proposito di Ejzenštein. Oltre ai collegamenti con la storia del cinema,
osserviamo un richiamo a determinate esigenze che mi pare abbiano portato
l'artista ad indagare scrupolosamente alcuni aspetti della storia dell'arte. Il
riconoscimento dei corpi, sottolineati da un colore perimetrale che ne fa
emergere la forma, mi pare desunta dall'incontro tra il Laoconte di El Greco, e
La danza di Henri Matisse. La danza circolare in quest'ultima opera si traduce
nel genere del tango, ove permane, allo stesso modo del pittore francese, la
volontà di fornire un rilievo formale data dalla linea di contorno. In Schabus
anche questo aspetto viene sapientemente orchestrato, decidendo di far
primeggiare le tonalità calde che certo inducono lo spettatore alla vicinanza
con i soggetti, ponendo solo delle brevi velature di colori freddi che sono
concettualmente posti agli antipodi rispetto a quelli precedenti detti.
L'atmosfera onirica, accompagnata da una particolare capacità di stendere i
colori mi portano a considerare l'artista vicino alla tecnica di Max Ernst,
anche se ne prende le distanze in merito all'immagine. In Berend essa si
sviluppa nel quadro attraverso un gioco complesso di associazioni logiche che la
portano a mostrarsi in forme spesso astratte. “Frantumando” il paesaggio, egli
interviene mettendo a fuoco solo i particolari validi alla sua ricerca. In
Anklage (accusa) in cui spicca un dito a giudicare una donna con il suo bambino,
i richiami sono diversi. In primis all'arte italiana tanto apprezzata
dall'artista. Quella falange ricorda quella di Livore (il rancore), ossia l'uomo
incappucciato che indica Re Mida nel dipinto di Sandro Botticelli la La
Calunnia. Pur non essendoci una volontà di imitatio nei confronti del maestro
fiorentino, rimane il senso simbolico del gesto, maturato anche nell'osservare
l'uomo “nero”, che mostra spunti policromi solo dopo la metà verticale
dell'opera. Le pennellate scure ci inducono a pensare alle lacrime della donna
(seguendo lo schema degli stimoli dello spettatore ai quali facevo riferimento
prima). L'impostazione dell'opera non è assente nel seguire anche il graffitismo
statunitense e in particolar modo le opere di Basquiat dei primi anni ottanta
del Novecento, ove le citazioni colte del linguaggio formale si legarono al
primitivismo.
In Colorkiss Red Turquise, tela che compone il trittico Colorkiss
Deep Three, osserviamo piacevolmente il coinvolgimento emotivo dei volti visti
di profilo, che partecipano al “festival” di eleganza coloristica legata alla
forma, che porterà a degli incastri spaziali, ideati per enfatizzare ancora una
volta uno dei momenti di maggior Pathos della cinematografia, il bacio. Nella
nostra visione frontale la tela ci permette di indagare il suo lato simbolico. I
volti, pur ritratti di profilo, sembrano due metà di una stessa faccia,
rinforzando il significato intrinseco del legame, sia esso sentimentale o più
concretamente legato alla forma e quindi ai colori che permettono questa sua
manifestazione. Schabus gioca con lo spazio, usando inquadrature che non
ammettono distrazioni, puntando quasi ad un horror vacui. I veri protagonisti
della composizione sono gli occhi che cercano volutamente di disincantare lo
spettatore da una atmosfera onirica, svegliando l'osservatore e facendolo
partecipare emotivamente all'atto amoroso. Gli occhi quindi, come la sequenza di
colpi di cannone utilizzati da Tchaikovsky nella sua Overture 1812, hanno una
funzione aggregante e di risveglio che artisticamente puntano a “svegliare” gli
stimoli di chi osserva o di ascolta. Mi pare quindi corretto dire che la ricerca
di Schabus tende ad un tipo di pittura che vuole diventare espressione pura,
esattamente come la musica. Le sue forme spesso condotte con eleganza alla
semplificazione mi fanno considerare Colorkiss Red Turquise un possibile omaggio
(magari incoscio) allo scultore rumeno Constantin Brancusi, e in particolar modo
all'opera del 1907 intitolata Il bacio, in cui l'atto amoroso si presenta in due
soggetti ritratti all'interno della forma di un cubo. Se osserviamo con
attenzione questa scultura e Colorkiss Red Turquise di Schabus capiamo come i
collegamenti (e sopratutto le risposte) a problemi artistici comuni, siano stati
dati in circostanze intenzionali non dissimili. Infondo comprendere l'arte
contemporanea significa interpretare le risposte (opere) che gli artisti danno a
determinati problemi che intendono affrontare. Nelle forme intenzionali di
Berend Schabus noi capiamo le risposte in un felice connubio tra gli studi che
hanno formato la sua persona e le sue capacità tecniche. Ogni sua opera si
mostra con “tagli” cinematografici e colori che devono attirare o dissipare la
nostra attenzione, utilizzando la stessa minuzia impiegata a teatro, ove
l'aspetto onirico della rappresentazione è dettata dalla sapiente regia
dell'artista che conosce la storia della tradizione artistica.
Dott. Sergio Pesce