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Articolo del critico d'arte
Anna Rita Delucca
A voler essere sinceri non ci sarebbe più da scrivere molto sull’arte di
Ghisetti: le sue opere si narrano da sole e a completarne la definizione ci
hanno già pensato, a cominciare dagli anni Settanta fino al nuovo millennio,
esaurienti testi di vari studiosi tra cui Michele Beraldo. Così a noi odierni
osservatori delle sue performances stilistiche, non rimane che approfondire la
ricerca sulle fasi creative che hanno caratterizzato nel tempo la vastissima
gamma di questo raffinato artista: pittura, ceramica, decorazione, vetro,
scultura, disegno. Ghisetti non si è certo risparmiato nell’assidua
sperimentazione di tante discipline
cardine
dell’arte italiana e oggi il risultato di una continua evoluzione verso la
perfezione creativa è giunto alla piena maturità. Filo conduttore che attraversa
tutte le fasi della sua opera è la grande esperienza artistica
veneziano-muranese, accanto alla rigorosa osservazione prospettica, alla
riflessione silenziosa e composta della scena pittorica, caratteristiche queste,
apprese dallo studio appassionato dei maestri quattrocenteschi e rinascimentali,
da Piero della Francesca e Paolo Uccello, fino al Mantegna e a Giorgione, dal
quale, a nostro parere, sembra aver tratto ispirazione nella costruzione
architettonicamente strutturata di uno struggente quadro che porta il titolo di
‘Sacra Famiglia’ (fig. 1) in cui la ‘mater’, abbraccia disperatamente il
corpicino esanime del suo piccolo mentre l’altro infante rivolge lo sguardo
attonito verso lo spettatore. La figura maschile che nell’opera rinascimentale
rimane in piedi, distanziata, ad osservare il gruppo familiare, nel dipinto di Ghisetti si trova nella medesima zona scenica ma distesa e senza vita. Ne ‘La
Tempesta’ di
Giorgione
(fig. 2) compare un paesaggio con architetture sullo sfondo, la madre tiene
teneramente il suo bambino, non compare un secondo fanciullo ma si inseriscono
molti dettagli totalmente assenti nell’opera di Ghisetti la quale, al contrario,
appare di gran lunga più scarna di elementi oggettivi , maggiormente lineare ma
comunque composita e ordinata pur nella sua urlata drammaticità, inoltre la
costruzione d’insieme segue una linea comune a quella riscontrabile nel quadro
del grande pittore cinquecentesco, ma l’enigmaticità, il senso di attesa, la
staticità della scena che rendono misterioso il fermo immagine, nell’opera del
contemporaneo hanno fatto un passo oltre: siamo già dentro all’evento drammatico
che nel quadro precedente restava come in attesa, sospeso. Come nella ‘Sacra
Famiglia’, pure in tutte le opere dell’artista veneziano, le tonalità pastello
costituiscono un visibile richiamo alla ricerca di armonia tra forma, linea e
luce, per trasfondere un’aura di silenzio e mitica riflessione. L’opera omnia di Ghisetti trattiene in sé la sottile (ma importantissima) influenza di una parte
fondamentale della storia artistica
contemporanea:
la metafisica di De Chirico e Carrà, (fig. 3), il mistero della spazialità
geometrica, l’equilibrio formale di Casorati e Donghi, il Realismo Magico o
meglio, l’arte del ‘ritorno all’ordine’ dopo il dilagare delle correnti
avanguardistiche (come suggeriva, negli anni Venti del Novecento, Bontempelli
nella rivista ‘Valori Plastici’) ma suggellata da elementi surreali. Alfred H.
Barr Jr. , direttore del Museum of Modern Art di New York, nel 1943 definì il
termine Realismo Magico: << ….Opera di pittori che servendosi di una perfetta
tecnica realistica cercano di rendere plausibili e convincenti le loro visioni
improbabili, oniriche o fantastiche >> . Giampaolo Ghisetti nella propria
espressione pittorica accoglie, in un certo senso, tale definizione. Il suo
‘Cenacolo’ (fig. 4) è prettamente esplicativo di tale concetto: in un gruppo
scenico di chiaro stampo leonardesco ma trasferito in un contesto d’epoca
contemporanea la realtà della storia evangelica si trasfigura nella fantasia
dell’artista attraverso i personaggi: Gesù, giovane uomo del Duemila in
camicia,
i Dodici in abiti contemporanei conversano in una cena con gatto e ciotola
moderna sotto al tavolo imbandito. Il costrutto scenico ha uno sfondo in stile
rinascimentale come del resto tutto l’apparato architettonico. Il Vangelo si
rinnova nel mistero della vita e il volto degli uomini che recitano quella scena
pittorica è il volto dell’artista stesso che vuole ritrarsi in ognuno di loro
per rivivere e rinnovare in una magica realtà l’atmosfera della storia e del
mito religioso che da sempre accompagnano in modo inscindibile la nostra
condizione umana inevitabilmente commista di terra e di cielo.