Pitture e artisti |
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Delucca:
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Articolo del critico d'arte Anna Rita Delucca
Fiorenza si distingue come pittrice miniaturista: inizia molto giovane, negli
anni Settanta, proviene dalla scuola d’arte di Azzaroni, Santachiara ed Emilio
Contini (che fu allievo di Giorgio Morandi a Bologna). Dopo una prima fase
giovanile in cui l’artista si dedicò alla raffigurazione soprattutto di scene
campestri, vita contadina, interni rurali, legati principalmente alle tematiche
socio-culturali dell’attività migratoria dalle montagne verso i centri urbani,
il conseguente spopolamento dei territori e l’abbandono delle usanze
storico-tradizionali degli anni del boom economico, la sua attenzione si sposta
verso nuove tematiche della realtà umana, senza trascurare certamente il
contesto di attualità, ma più connesse
all’aspetto interiore, alle problematiche intime della vita, dalla caducità
dell’essenza, all’inevitabilità della morte e all’analisi profonda (esaminata da
un punto di vista più intellettuale e filosofico) del valore della vita nel suo
significato più recondito.
I soggetti preferiti da Fiorenza per rappresentare tali tematiche sono i
cavalli e i fiori, ciascuno con proprie e precise connotazioni: i bianchi
stalloni che cavalcano nella notte ("Incubo notturno") prendono spunto dalle splendide incisioni
crepuscolari del Dorè o dalle simbologie di Rubens e Fussli, grandi maestri del
passato da cui trae ispirazione per affrontare problematiche di oggi, come la
violenza sulla donna e lo stalking, alternandoli a spunti anche di carattere
mitologico per narrare la realtà. Tutto questo gioco di immagini e simboli
tratti dalla storia, dalla fiaba e dai miti del passato, dalla musica e dalla
poesia, rivelano una grande conoscenza e preparazione, non solo sul piano
artistico, tecnico e manuale, ma anche
su quello culturale, storico, letterario e filosofico di quest’artista che con
grande maestria si serve di un'inesauribile fonte di nozioni del passato, per
tradurre e raccontarci il presente. I fiori, coloratissimi, rigogliosi, raccolti
in raffinati e delicati vasi di vetro trasparente,
gentilmente adagiati su pizzi
e broccati, se da un lato ci commuovono per la loro abbagliante bellezza e
vivacità, dall’altro ci turbano con i loro petali reclinati, le corolle cadute
sul piano in cui poggia il fulgido vaso che li contiene; poi i simboli del tempo
fuggente che l’artista riscoprì nelle famose ‘Vanitas vanitatis’ dei cicli
pittorici fiamminghi d’epoca seicentesca durante il suo passato di decoratrice
di letti in ottone: la piuma, la candela giunta quasi al termine della
consunzione, il compasso che segna la geometria perfetta del cerchio che ad un
certo punto si deve chiudere per essere completo, la melagrana, simbolo
dell’eternità, raffigurati nell’opera dal titolo “Il sonno della ragione genera
mostri” insieme al grande cesto dal manico spezzato, ci ricordano la tragedia
del nostro tempo, la caduta delle Twin Towers a New York: “Sic transit gloria
mundi, vanitas vanitatis”(così passa la gloria del mondo – vanità della vanità).
Altra
opera significativa “Nike” ci presenta, accanto al procace vaso di fiori rosa e
innocenti margherite, il simbolo della vittoria sulla lotta, la mera speranza di
superamento delle guerre nel mondo: i libri antichi e consunti al loro interno
citano le tematiche terribili delle mafie odierne a fianco ai labirinti di Cnosso e di Filerete. Quando usciremo dal groviglio del male? Il “Paradiso
perduto” di Milton troneggia sul tavolo in legno con la pagina aperta sul brano
del ‘Pandemonium’ e un piccolo, quasi invisibile insetto oscuro, si posa sul
petalo di un vivido fiore quasi ad intaccarne la purezza, additandoci il simbolo
del male che celatamente si insinua.
Il
tema della condizione femminile, ancora di forte attualità, viene magistralmente
affrontato dall’artista con delicata raffinatezza estetica in
“Artemisia” dove
si ammirano tondeggianti e copiose ortensie, unite al blu brillante dei
fiordalisi in una coppa di porcellana scolpita a rilievo con le storie di veltri
e cinghiali che rincorrono la femmina in fuga: le tematiche di Artemisia Gentileschi, la grande pittrice caravaggesca impegnata (coraggiosamente per
quell’epoca) nella denuncia delle violenze subite attraverso i suoi quadri più
famosi come “Giuditta e Oloferne”.
Sulla pittura di Fiorenza hanno scritto importanti critici e intellettuali tra
cui Vittorio Sgarbi che ha esaminato a fondo proprio queste tematiche attraverso
lo studio di un altro soggetto molto amato e rappresentato dall’artista, quello
dei ‘Cavalli’ che insieme al ciclo dei ‘Fiori recisi’ segna in qualche modo il
completamento del suo percorso di maturità espressiva.