![]() Pitture e artisti |
Articolo del critico dott.
Sergio Pesce
La
rivoluzione astratta iniziata con Kandinsky a partire dai primi anni del XX
secolo ha dato la possibilità, con il tempo, a vari creativi di sfogare la loro
dialettica entro confini che lo stesso maestro e padre dell'astrattismo
determinò assegnando dei significati simbolici agli attori della sua pittura. Si
pensi a tal proposito al saggio
Punto, linea, superficie.
Nel giovane
pittore veneziano la lezione si traduce attraverso la forte spinta emotiva che
contrassegna i suoi lavori, fornendo allo spettatore tele intrise di spiccata
conoscenza artigianale al servizio del protagonismo del singolo elemento in
lotta con l'intera composizione. Queste trovano armonia solo grazie ai leganti
naturali che lo stesso autore impiega sapientemente per rendere compatto questo
rapporto dualistico, quasi scultoreo, di emozione e spiegazione. Due elementi
posti agli antipodi della stessa sostanza dell'opera. Dualità che si concretizza
anche nella scelta di usare uno pseudonimo per firmare le sue tavole.
Nelle opere di Marco Penzo in arte MvMarcus affiora il suo lato lirico. Nella
raccolta di poesie da lui composte e illustrate,
Il popolo della
terra,
dedicato al popolo dei Navajo, i componimenti evocano un campionario di immagini
che assumono tinte surreali evocando Rimbaud e Lautrèamont che assieme
all'atteggiamento antropologico già visto in Gauguin sono stati scelti dal
pittore veneziano per annunciare la sua stagione pittorica, pregna di cultura
francese, di cui egli è un fermo amatore essendo per metà parigino. Non a caso
la sua recente autobiografia artistica
MvMarcus artista astratto è stata tradotta in
questa lingua, con la collaborazione di Dany Dublè.
Il suo agire nasce dalle sue richieste più intime che trovano una parallelismo
con la ricerca del primitivismo antropologico. La peculiarità di questo suo
modus operandi che a un occhio inesperto sembra frutto di scelte frettolose,
trova invece una perfetta sintesi se lo si considera come un artigiano impegnato
con gli strumenti più adatti a realizzare un'opera che difficilmente verrà
riconosciuta visivamente perché astratta. Questo senso di incomprensione si
snoda nei particolari del dipinto che a tratti sembrano ricordare figure a noi
conosciute. L'aspetto ludico dell'autore si manifesta anche nella composizione
dei titoli, laddove siano presenti. Penso all'opera
Ring ove anziché presentare al pubblico un
anello, la rivoluzione pittorica ricorda l'occhio di un rettile. Il dipinto
rimane comunque uno degli ultimi esempi di timido astrattismo legato per certi
versi ad un inconscio formalismo che l'autore porterà a dissoluzione con le
opere successive.
Nel suo secondo periodo il pittore conferma la sua involuzione formale,
concedendosi le libertà dadaista, giocando con le forme del surrealismo poetico
e con quelle materiche di un astrattismo ripreso
evidentemente
da Pollock. Definizioni e concetti che in MvMarcus non spiegano il suo agire ma
servono al critico per mediare tra l'emozione espressa dal pittore e il suo
significato intrinseco. In questo filone autodeterminato dall'autore spiccano
certamente le opere intitolate
Deserti op.XVII e Brain1, che confermano
l'ascesa del pittore. Interesse che ha influenzato anche la critica d'arte, che
ha potuto osservare queste sue opere presso il Museo di Scienze Naturali di
Torino grazie all'esposizione
Da Torino a Chicago e Vice Versa tenutasi
quest'anno. Come in una sinfonia musicale le due tele si inseriscono come acuti
che rompono con il vecchio corpus d'opera dell'autore per spingere lo stesso
verso un livello qualitativo degno di nota. In
deserti op XVII MvMarcus ci mostra una
superficie sagomata quasi si sforzasse di contenere al suo interno un altro
oggetto che così costretto ne determina le forma esteriore. La compressione
delle emozioni sotto questo velo materico forma delle crepe che fanno pensare ad
una difficile conservazione del processo artistico. Lo sfaldamento si mostra con
una venatura scura piuttosto marcata che trafigge l'opera in diagonale. Si
tratta di un forte richiamo al fare dell'autore che ha il difficile compito di
legare le dualità del suo agire, precedentemente descritte.
In maniera opposta viene affrontata l'opera Brain1.
La tecnica usata deve molto al dripping di Pollock. Anche se decontestualizzato,
ci fornisce la sensazione di una sovrastruttura che cerca di imprigionare la
materia sotto di essa, che si badi bene, non viene descritta pittoricamente con
un unica tonalità, ma misurata con il chiaroscuro. In questo dipinto leggo la
volontà dell'autore di voler usare una tecnica conosciuta, traducendola in
strumento di prigionia mentale, da qui il titolo. Il pittore opera quindi in
maniera astorica, applicando valori legati alla storia dell'arte che dopo la sua
attenta mediazione cambiano significato per adagiare il suo pensiero.
Atteggiamento influenzato dalla cultura dadaista e una ammonizione contro la
pittura di accademia dalla quale egli stesso si distanzia. In questo senso
l'autore sceglie l'involuzione figurativa verso un astrattismo del tutto
personale e materico, che si traduce in un deserto, colto nelle sue diverse
sfaccettature e ottimo campo per apprezzare i miraggi emotivi che poi il pittore
dovrà legare alla materia grezza.